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Sogno
di natale di Luigi Pirandello |
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Sentivo
da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l'impressione d'una mano lieve, in atto
tra di carezza e di protezione. Ma l'anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin
dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che
bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors'anche per un minuto, la vita come
immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.
Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un
Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di
zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori... E le vie delle città
grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida
notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere
della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:
- Buon Natale - e sparivo...
Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie
deserte, mi parve a un tratto d'incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il
mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto
in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto:
pareva pieno d'un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita.
Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l'immagine di lui m'attrasse così, da
assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto
però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e
istintivamente m'arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo
anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra
come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii.
Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d'una
luce interiore, sorvolava su un'alta siepe di rovi, che s'allungava dritta infinitamente,
in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava
agevolmente me disteso per lungo quant'egli era alto, via via tra le spine che mi
trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo.
Dall'irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d'una stretta spiaggia:
innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva
restringendosi fino a un punto nell'immenso arco dell'orizzonte. Si mise Gesù per quella
via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi
di luce su le acque gelide.
A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte
d'una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle
case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava
pretesto a gozzoviglie.
- Non dormono... - mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d'odio e d'invidia
pronunziate nell'interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l'impronta
delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: - Anche per costoro
io son morto...
Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a
una chiesa, rivolto a me, ch'ero la sua ombra per terra, non mi disse:
- Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.
Era una chiesa magnifica, un'immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e
d'oro alla volta, piena d'una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava
su l'altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d'incenso. Al
caldo lume dei cento candelieri d'argento splendevano a ogni gesto le brusche d'oro delle
pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale.
- E per costoro - disse Gesù entro di me - sarei contento, se per la prima volta io
nascessi veramente questa notte.
Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul
petto riprese:
- Cerco un'anima, in cui rivivere. Tu vedi ch'ìo son morto per questo mondo, che pure ha
il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo
angusta per me l'anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via.
Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che
falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui
invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo... Cerco un'anima, in cui
rivivere: potrebbe esser la tua come quella d'ogn'altro di buona volontà.
- La città, Gesù? - io risposi sgomento. - E la casa e i miei cari e i miei sogni?
- Otterresti da me cento volte quel che perderai ripeté Egli levando la mano dal
mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari.
- Ah! io non posso, Gesù... - feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e
avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.
Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l'impressione sul mio capo
inchinato, m'avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in
quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E qui, è qui, Gesù, il mio
tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa. |
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