La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle,
come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.
Dovete dunque sapere che la Contessa
Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta
vedova con tre figli: due maschi e una bambina.
Il maggiore, di nome Luigino, poteva
avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l'Ada, la minore
di tutti, era entrata appena ne' sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più, a
causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.
La contessa passava molti mesi all'anno
in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de' suoi
figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.
Finita l'ora della lezione, il più
gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro; un
animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri
in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè,
di essere un cavallo di legno!
Ma Luigino gli voleva lo stesso bene,
come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo
strigliasse con una bella spazzola da panni: e dopo averlo strigliato, invece di fieno o
di gramigna, gli metteva davanti una manciata di lupini salati. E se per caso il cavallo
si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo:
«Vedo bene che questa sera non hai
fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene».
E perché il cavallo dormisse davvero,
lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d'ovatta: e se la stagione era molto
rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto
foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere di casa.
Alberto, il fratello minore, aveva
un'altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando
certi fili, moveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e
quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una
sola cosa: il parlare.
Figuratevi la bizza di Alberto! Quel
buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella,
ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine di non voler
discorrere a modo e verso, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e
la lingua.
E fra lui e Pulcinella accadevano
spesso dei dialoghi e dei battibecchi un tantino risentiti, sul genere di questi:
«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva
Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto.
«Buon giorno, Pulcinella.»
E Pulcinella non rispondeva.
«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva
Alberto.
E Pulcinella, zitto! come se non
dicessero a lui.
«Su, via, finiscila di fare il sordo e
rispondi: buon giorno, Pulcinella.»
E Pulcinella, duro!
«Se non vuoi parlare con me, guardami
almeno in viso» diceva Alberto un po' stizzito.
E Pulcinella, ubbidiente, girava subito
gli occhi e lo guardava.
«Ma perché», gridava Alberto
arrabbiandosi sempre di più, «ma perché se ti dico "guardami" allora mi
guardi; e se ti dico "buon giorno" non mi rispondi?»
E Pulcinella, zitto!
«Brutto dispettoso! Alza subito una
gamba!»
E Pulcinella alzava una gamba.
«Dammi la mano!»
E Pulcinella gli dava la mano.
«Ora fammi una bella carezzina!»
E Pulcinella allungava il braccio e
prendeva Alberto per la punta del naso.
«Ora spalanca tutta la bocca!»
E Pulcinella spalancava una bocca, che
pareva un forno.
«Di già che hai la bocca aperta,
profittane almeno per darmi il buon giorno.»
Ma il Pulcinella, invece di rispondere,
rimaneva lì a bocca aperta, fermo e intontito, come, generalmente parlando, è il vizio
di tutti gli omini di legno.
Alla fine Alberto, con quel piccolo
giudizino, che è proprio di molti ragazzi, cominciò a mettersi nella testa che il suo
Pulcinella non volesse parlare né rispondergli, perché era indispettito con lui.
Indispettito!... e di che cosa? Forse di vedersi mal vestito, con un cappellaccio in capo
di lana bianca, una camicina tutta sbrindellata, e un paio di pantaloncini così corti e
striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba.
«Povero Pulcinella!», disse un giorno
Alberto, compiangendolo sinceramente, «se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i
torti. Io ti mando vestito peggio di un accattone... ma lascia fare a me! Fra poco
verranno le feste di Natale. Allora potrò rompere il mio salvadanaio... e con quei
quattrini, voglio farti una bella giubba, mezza d'oro e mezza d'argento.»
Per intendere queste parole di Alberto,
occorre avvertire che la Contessa aveva messo l'uso di regalare a' suoi figli due o tre
soldi la settimana, a seconda, s'intende bene, de' loro buoni portamenti. Questi soldi
andavano in tre diversi salvadanai: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello
dell'Ada. Otto giorni avanti la pasqua di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi danari
che vi si trovavano dentro, tanto la bambina, come i due ragazzi erano padronissimi di
comprarsi qualche cosa di loro genio.
Luigino, com'è naturale, aveva pensato
di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, e una
bella gualdrappa, da potergliela gettare addosso, quando era sudato.
L'Ada, che aveva una bambola più
grande di lei, non vedeva l'ora di farle un vestitino di seta, rialzato di dietro, secondo
la moda, e un paio di scarpine scollate per andare alle feste da ballo.
In quanto al desiderio di Alberto, è
facile immaginarselo. Il suo vivissimo desiderio era quello di rivestire il Pulcinella con
tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli buoni.
Intanto il Natale s'avvicinava,
quand'ecco che una mattina, mentre i due fratelli con la loro sorellina, andavano a spasso
per i dintorni della villa, si trovarono dinanzi a una casipola tutta rovinata, che pareva
piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c'era un povero bambino mezzo nudo,
che dal freddo tremava come una foglia.
«Zio Bernardo, ho fame», disse il
bambino con una voce sottile, sottile, voltandosi appena con la testa verso l'interno
della stanza terrena.
Nessuno rispose.
In quella stanza terrena c'era
accovacciato sul pavimento un uomo con una barbaccia rossa, che teneva i gomiti
appuntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani.
«Zio Bernardo, ho fame!...», ripeté
dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena.
«Insomma vuoi finirla?», gridò
l'uomo dalla barbaccia rossa. «Lo sai che in casa non c'è un boccone di pane: e se tu
hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo!»
E nel dir così, quell'uomo bestiale si
levò di piede uno zoccolo e glielo tirò. Forse non era sua intenzione di fargli del
male; ma disgraziatamente lo colpì nel capo.
Allora Luigino, Alberto e l'Ada,
commossi a quella scena, tirarono fuori alcuni pezzetti di pane trovati per caso nelle
loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliolo.
Ma il bambino, prima si toccò con la
mano la ferita del capo: poi guardandosi la manina tutta insanguinata, balbettò a mezza
voce:
«Grazie... ora non ho più fame...».
Quando i ragazzi furono tornati alla
villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma; e di quel caso se ne parlò
due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si finì
per dimenticarlo e per non parlarne più.
Alberto, per altro, non se l'era
dimenticato: e tutte le sere andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo
nudo e tremante dal freddo, diceva grogiolandosi fra il calduccio delle lenzuola:
«Oh come dev'essere cattivo il freddo!
Brrr...».
E dopo aver detto e ripetuto per due o
tre volte «Oh come dev'esser cattivo il freddo!» si addormentava saporitamente e faceva
tutto un sonno fino alla mattina.
Pochi giorni dopo accadde che Alberto
incontrò per le scale di cucina la Rosa: la quale era l'ortolana che veniva a vendere le
uova fresche alla villa.
«Sor Albertino, buon giorno
signoria», disse la Rosa: «quanto tempo è che non è passato dalla casa dell'Orco?»
«Chi è l'Orco?»
«Noi si chiama con questo soprannome
quell'uomo dalla barbaccia rossa, che sta laggiù sulla via maestra.»
«O il suo bambino che fa?»
«Povera creatura, che vuol che
faccia?... È rimasto senza babbo e senza mamma, alle mani di quello zio Bernardo...»
«Che dev'essere un uomo cattivo e di
cuore duro come la pietra, non è vero?», soggiunse Alberto.
«Pur troppo! Meno male che domani
parte per l'America... e forse non ritornerà più.»
«E il nipotino lo porta con sé?»
«Nossignore: quel povero figliuolo
l'ho preso con me, e lo terrò come se fosse mio».
«Brava Rosa.»
«A dir la verità, gli volevo fare un
po' di vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo... ma ora sono corta a quattrini. Se Dio
mi dà vita, lo rivestirò alla meglio a primavera.»
Alberto stette un po' soprappensiero,
poi disse:
«Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno
ritorna qui, alla villa: ho bisogno di vederti.»
«Non dubiti.»
Il giorno seguente, era il giorno tanto
atteso, tanto desiderato, tanto rammentato: il giorno, cioè, in cui celebravasi
solennemente la rottura de' tre salvadanai.
Luigino trovò nel suo salvadanaio
dieci lire: l'Ada trovò nel suo undici lire, e Alberto vi trovò nove lire e mezzo.
«Il tuo salvadanaio», gli disse la
mamma, «è stato più povero degli altri due: e sai perché? perché in quest'anno tu hai
avuto poca voglia di studiare.»
«La voglia di studiare l'ho avuta»,
replicò Alberto, «ma bastava che mi mettessi a studiare, perché la voglia mi passasse
subito.»
«Speriamo che quest'altr'anno non ti
accada lo stesso» soggiunse la mamma: poi volgendosi a tutti e tre i figli, seguitò a
dire: «Da oggi alla pasqua di Natale, come sapete, vi sono otto giorni precisi. In questi
otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi è padronissimo di fare quell'uso
che vorrà, dei danari trovati nel proprio salvadanaio. Quello poi, di voialtri, che
saprà farne l'uso migliore, avrà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio.»
"Il bacio tocca a me di
certo!", disse dentro di sé Luigino, pensando ai ricchi finimenti e alla bella
gualdrappa che aveva ordinato per il suo cavallo.
"Il bacio tocca a me di
certo!", disse dentro di sé l'Ada, pensando alle belle scarpine da ballo che aveva
ordinato al calzolaio per la sua bambola.
"Il bacio tocca a me di
certo!", disse dentro di sé Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo
Pulcinella.
Ma nel tempo che egli pensava al
Pulcinella, sentì la voce della Rosa che, chiamandolo a voce alta dal prato della villa,
gridava:
«Sor Alberto! sor Alberto!».
Alberto scese subito. Che cosa dicesse
alla Rosa non lo so: ma so che quella buona donna, nell'andarsene, ripeté più volte:
«Sor Albertino, lo creda a me: lei ha
fatto proprio una carità fiorita, e Dio manderà del bene anche a lei e a tutta la sua
famiglia!».
Otto giorni passarono presto: e dopo
otto giorni arrivò la festa di Natale o il Ceppo, come lo chiamano i fiorentini.
Finita appena la colazione, ecco che la
Contessa disse sorridendo ai suoi tre figli:
«Oggi è Natale. Vediamo, dunque, come
avete speso i quattrini dei vostri salvadanai. Ricordatevi intanto che, quello di voialtri
che li avrà spesi meglio, riceverà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su,
Luigino! tu sei il maggiore e tocca a te a essere il primo».
Luigino uscì dalla sala e ritornò
quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di legno, ornato di finimenti così ricchi,
e d'una gualdrappa così sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori
romani.
«Non c'è che dire», osservò la
mamma, sempre sorridente «quella gualdrappa e quei finimenti sono bellissimi, ma per me
hanno un gran difetto... il difetto, cioè, di essere troppo belli per un povero cavallino
di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te.»
«No, no», gridò il ragazzetto,
turbandosi leggermente, «prima di me, tocca all'Ada.»
E l'Ada, senza farsi pregare, uscì
dalla sala, e dopo poco rientrò tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e
vestita elegantemente, secondo l'ultimo figurino.
«Guarda, mamma, che belle scarpine da
ballo!», disse l'Ada compiacendosi di mettere in mostra la graziosa calzatura della sua
bambola.
«Quelle scarpine sono un amore!»,
replicò la mamma. «Peccato però che debbano calzare i piedi d'una bambina fatta di
cenci e di stucco, e che non saprà mai ballare!»
«E ora, Alberto, vediamo un po' come
tu hai speso le nove lire e mezzo, che hai trovate nel tuo salvadanaio.»
«Ecco... io volevo... ossia, avevo
pensato di fare... ossia, credevo... ma poi ho creduto meglio... e così oramai l'affare
è fatto e non se ne parli più.»
«Ma che cosa hai fatto?»
«Non ho fatto nulla.»
«Sicché avrai sempre in tasca i
danari?»
«Ce li dovrei avere...»
«Li hai forse perduti?»
«No.»
«E, allora, come li hai tu spesi?»
«Non me ne ricordo più.»
In questo mentre si sentì bussare
leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse:
«È permesso?.»
«Avanti.»
Apertasi la porta, si presentò sulla
soglia, indovinate chi! Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto
tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche
quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo.
«È tuo, Rosa, codesto bambino?»,
domandò la Contessa.
«Ora è lo stesso che sia mio, perché
l'ho preso con me e gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito
la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perché ha trovato un angiolo di
benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi.»
«E chi è quest'angelo di
benefattore?», chiese la Contessa.
L'ortolana si voltò verso Alberto, e
guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta:
«Eccolo là.»
Albertino diventò rosso come una
ciliegia: poi rivolgendosi impermalito alla Rosa, cominciò a gridare:
«Chiacchierona! Eppure ti avevo detto
di non raccontar nulla a nessuno!...».
«La scusi: che c'è forse da
vergognarsi per aver fatto una bell'opera di carità come la sua?»
«Chiacchierona! chiacchierona!
chiacchierona!», ripeté Alberto, arrabbiandosi sempre più; e tutto stizzito fuggì via
dalla sala.
La sua mamma, che aveva capito ogni
cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla
poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo
abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per
lo meno più di cento. |