"Il Natale mi fa pensare a quelle anfore romane che ogni tanto i pescatori
tirano fuori dal mare con le loro reti, tutte ricoperte di conchiglie e di incrostazioni
marine che le rendono irriconoscibili. Per ritrovarne la forma, bisogna togliere tutte le
incrostazioni. Così il Natale. Per ritrovarne il significato autentico bisognerebbe
liberarlo da tutte le incrostazioni consumistiche, festaiole, abitudinarie, cerimoniose,
eccetera, eccetera. Poi si vedrebbe".
Betlemme si presenta
alla vista in maniera non dissimile da tante piccole città dell'Umbria e della Toscana,
in cima ad una collina, con le case arrampicato sul pendio e la basilica della Natività
bene in vista sopra uno sperone. ù un luogo montanino, Betlemme, e nella piazza, davanti
al sagrato, soffia un vento freddo che spazza le pietre del lastricato. Per la piazza
girano i soliti venditori di ricordi, di rosari e di immagini; ma, al contrario di
Gerusalemme, qui sono più discreti, e almeno un ricordo tra la tanta paccottiglia che
offrono ha una sua grazia: un cartoncino sul quale sono incollati alcuni fiorellini
freschi della collina di Betlemme. Come, poi, entriamo nella basilica della Natività, il
passaggio dalla natura gentile e poetica all'antichità venerabile del tempio è anch'esso
reminiscente dell'Italia: a questo modo, sopra paesaggi luminosi e puri, in piccole città
vetuste, si aprono anche i portali anneriti delle chiese più antiche e più ispirate
della provincia italiana.
La basilica della Natività, al contrario del Santo Sepolcro, è un luogo tranquillo,
preservato, e persino negletto. Le dispute tra latini e greci, talvolta addirittura
sanguinose, hanno portato la basilica alla presente condizione che sembra richiedere
urgentemente un avveduto restauro. Polvere nera, di secoli, vela il marmo, che fu già
rosso, delle colonne monolitiche e i capitelli corinzi; sopra gli architravi, là dove non
affiorano alcuni brani, anch'essi anneriti, degli splendidi mosaici, l'intonaco è caduto
in più punti, scoprendo l'ammattonato; un muretto ignobile, mezzo sgretolato, divide la
navata centrale dall'abside. Eppure, forse appunto per questo abbandono che ne garantisce
l'autenticità, la basilica è oltremodo commovente: essa documenta con le sue pietre il
passaggio senza soluzione di continuità dall'arte pagana a quella cristiana; permette di
rivivere il momento unico in cui la nuova fede ridiede vita profonda ai vecchi stili
esausti. La basilica, nonostante le molte vicende, è rimasta, a quanto pare,
sensibilmente qual era nell'anno 330 dopo Cristo quando fu edificata per ordine della
madre di Costantino. Tra tutti i miracoli di questo paese miracoloso, la preservazione di
questa chiesa costruita sulla grotta dove nacque Gesù, è senza dubbio uno dei più
notevoli. E si vuol ricordare come un tratto strano e potente, che perfino l'invasione
persiana di Cosroe, la più spietata e disastrosa che mai ebbero a subire queste
disgraziate contrade, si fermò sulla soglia della basilica grazie ad un particolare assai
significativo: le vesti persiane che in un antico mosaico indossavano le figure dei tre re
magi.
Per rozzi e angusti scalini si discende, dietro all'altare, alla grotta della Natività.
È un antro oscuro e irregolare, e la mangiatoia, che normalmente nelle stalle è di
legno, vi era invece scavata nella viva roccia, in forma di piccola vasca. Gli animali del
presepe si vedono tuttora per le straducce di Betlemme: gli asini bianchi dai grandi occhi
neri, i buoi striminziti, le magre vaccherelle di questo paese sassoso, le pecore, le
capre. La tradizione anche qui è perfettamente credibile: Gesù nacque sulla paglia che
serviva da letto ai pochi animali di questa piccola stalla; appena nato, fu deposto nella
mangiatoia ricavata nella roccia; e gli animali che sporgevano il loro muso verso questa
mangiatoia e che, forse, cercarono di continuare a mangiare tirando via i fili di paglia
da sotto il corpo del neonato, lo riscaldarono così, naturalmente, con il loro fiato. Il
destino terreno di Gesù, d'altronde, è legato oltre che ai paesaggi rnistici e luminosi
della Palestina anche a queste grotte che dovunque si aprono nel terreno roccioso. Altra
grotta assai profonda, questa in piena Gerusalemme, serviva probabilmente, da tempo
immemorabile, da prigione. Oggi vi si scende in processione per vedere il luogo buio e
sconfortante in cui Gesù fu imprigionato con Barabba. E come la mangiatoia appare scavata
nella roccia viva, così nella prigione di Cristo sono scavate nella roccia le maniglie di
pietra alle quali i due prigionieri furono assicurati per i polsi. Colline soavi e sparse
di ulivi e di cipressi, grotte oscure e anfratti: così, erano nel vero i nostri pittori
primitivi che pur non avendo mai visitato la Terrasanta, diedero nei loro quadri una
descrizione di questi luoghi che non potrebbe essere più esatta, con una chiaroveggenza
che non si può attribuire alla candida fede che li ispirava. |